Benvenuti
OGNI PAROLA
LIMITE AL PENSIERO
SPECIFICA UN INCONSCIO PERCORSO DI RICERCA
UN ITINERARIO CEREBRALE
CHE ESCLUDE OGNI ALTRA ROTTA

IL SILENZIO CONSAPEVOLE DELL’AMORE
OvveRo
THE WOR(L)D AS ONE
di Francesco Carrozzo
PROLOGO I
- Meditation into the Wor(l)d
Una parola …
… medito,
alla ricerca di
un lemma planetario.
Sul verbo …
… respiro,
alla scoperta di
un mantra universale.
Con l’inspirazione …
… le pause … ,
sonoramente coordino[1].
Ascolto …
. . . la voce …
. . . di mia madre,
. . . dell’Inconscio Collettivo della Storia [2];
ascolto . . .
. . . la Voce
… di Dio ….
Suoni da capire …
… suoni da interpretare.
Suoni …
… da …
c o m u n i c a r e .
Sedimento il verso.
La semantica piana
spiana la voce.
L’asserto
la colloca
nello spazio oracolare
della congettura da confutare[3]
e …
… la mia faccia
è maschera sciamanica,
sballottata dall’onde
pure
impure…,
… staccata dal corpo
intraprende la Via …
.. ed è
Ghost Dances [4]
viaggio ad Ixtlan
conoscenza Yaqui
volo di Don Juan [5]
…,
registro dei miei peccati
specchio dei vostri peccati
dei peccati della Storia
E poi
il silenzio
il silenzio
tutto il silenzio[6]
TEMA
Near the Flesh and Wor(l)d of my Time
I
Chi alitò la vita
diede parola all’Uomo
dicendo: “ Adamo,
il mondo è tuo. Nominalo!”
E
la nominalizzazione dell’uomo
da quel momento
determina la vita.
Ogni parola
limite al pensiero
specifica
un inconscio percorso di ricerca,
un itinerario cerebrale che
esclude ogni altra rotta.
Ogni nome,
traccia mnestica
nella ragnatela
d’interconnessioni neurali evolutive,
segna un selettivo percorso individuale
di ricerca
e
limita la chiave dell’Universale
che ognuno individua in sé,
e
… nel proprio nome specifica il Verbo
e
… la propria carne afferma con la lotta;
e
monoliti di babilonici linguaggi
invadono l’universo conosciuto
sino ai Bastioni d’Orione
ed alle Porte di Tannhäuser
e
guerre di significanti incomprensibili
creano guerre di comprensibili significati
e
l’uomo parolaio
viene ucciso
da altri uomini parolai
che esprimono un altro verbo.
II
Inspiro …
mi avvolge l’aria
di questi miei giorni mortali
Osservo un uomo
smembrato del suo nome,
del suo verbo e della sua carne
esibito alla giostra
del vocabolario d’altri uomini
che affermano il loro nome,
il loro verbo e la loro carne.
Comprendo il giogo
non le parole
e
neppure il giuoco
e
in Babele
m’immergo
e
sotto la sua torre
mi perdo.
III
Espiro …
… chiudo gli occhi …
provo a fare il vuoto attorno a me
provo a trovare il silenzio
provo a ritrovarmi
nel silenzio …
Ma l’angoscia
di questi miei giorni mortali
mi assale, monta,
mi prende il fiato …
… sono costretto al respiro dell’uomo che sono
IV
Inspiro …
scavo nella memoria
alla ricerca delle tracce mnestiche
dell’Inconscio Collettivo della Storia.
Ne ripercorro i solchi cerebrali
impressi dall’aratro della vita
per offuscarne i gesti criminali.
Lo sterro non lascia scampo
e tra novelle e vario ciarpame
riaffiora la storia dei vinti,
dei morti di fame.
I Miti,
solo aporia della gloria;
novella rimondata e impressa
nell’Inconscio Collettivo della storia,
per rimuovere i crimini reali della stessa.
Favole
per le tavole imbandite dell’Io-vincitore.
L’Inconscio Collettivo della Storia,
solo arma chimica
dell’Io-pace-cerebrale.
Percorso taumaturgico obbligato
di metabolizzazione della sofferenza;
Napalm o Fosforo
per rimuovere l’impegno
di chi si vende al migliore offerente
della propria Età dell’Oro
vinta con la vita di altra gente.
V
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e …
… ritorno a meditare
provo a ritrovare
il silenzio …
delle non-parole,
VI
Ma è solo un momento
le parole mi assalgono
le immagini del mio tempo
mi investono,
sono più veloci del tempo
della mia meditazione.
Un nulla
e la guerra fredda
è servita calda,
bollente.
Homo homini lupus
in ogni parte del mondo
in nomine Patris et Verbis
VII
$frante $carabattole,
ormai cimeli,
da $guerra fredda.
$crostati $frigoriferi
e $frangiati $volti
da tormente di $abbia
e $fumi di petrolio
$i $corrono incontro,
$u $brecciolinate $trade
percorse all’incontrario.
In faccia all’aggre$$ore
vestito da liberatore
ed in faccia al liberatore
$vestito d’aggre$$ore.
$gambe, $braccia e $polmoni
$fumano e rigettano $angue $ulle
$polpate o$$a d’inusitati idiomi.
$fuma Babilonia,
intorno ai tavoli di chi,
seduto, aspetta
la $ricostruzion€.
E volta ….
Un altro idioma,
un'altra $cusa,
damascata questa volta o,
forse impreziosita da
antichi tappeti persiani.
Chi lo $a …?
$u amici!
Viva la democrazia!
Libiamo!
Ai tavoli imbanditi!
Un’altra $ricostruzion€ lieta ci attende
VIII
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e … nel silenzio …
ancora una volta mi tuffo
nel silenzio
della meditazione …
dove cerco rifugio nelle non-parole
in quelle mai dette
in quelle mai pronunciate
in quelle mai scoperte.
IX
Ma non c’è tempo per meditare
questo è il tempo del profitto …
il PIL[7] non deve decrescere
bisogna produrre
… non importa cosa …
non importa in che modo …
forse …
… non importa e basta.
C’è un unico vocabolo: “Profitto”
un unico predicato verbale: “Globalizzare”.
Il profitto globale è un girotondo,
dove non può tramontare il sole,
dove la regola è: “O Gloria, o Morte!”
nelle trans-azioni
dove corrono i titoli
dove le borse virtuali
movimentano merci reali
dove le fortune e le sfortune
dei managers e dei brokers,
di diamanti di sangue
di uranio arricchito e poi impoverito
di rifiuti speciali
si misurano in moneta sonante.
È la globalizzazione che lo impone.
Il Nasdaq sale, e guai se il Mibtel non lo segue,
Francoforte perde lo 0,6% e Londra l’1,03%,
vendere, bisogna vendere, per non perdere troppo,
Hong Kong guadagna l’1,4% Il Dow Jones sale
come forse farà la borsa di Tokio
la prima che apre mentre qui è notte.
Il mercato globale è il regno
dove non tramonta mai il sole.
Nuovi indici di borsa indicano nuove fortune.
Nuove aree di profitto disegnano nuovi confini
ad ogni ora del giorno e della notte …
e quest’ultima non ha più posto …
e questa non ha più tempo per il riposo
e così …
… nei viali degli ipermercati d’occidente,
illuminati a giorno anche di notte
la carne umana è sempre più a buon mercato …
X
Infatti
non più
e non solo
arsi braccianti
tranciano a morsi
la propria libertà di uomini al sole
per sperare nella nebbia e nel freddo,
ma carbonizzati coloni che
né sole
né venti
né lune per la semina si aspettano
ma solo
marciapiedi di profitto.
XI
“O Gloria, o morte!”
È questa la forza
della disperazione
della lotta per la sopravvivenza
ad ogni costo,
in attesa del riscatto
XI
Da Goethe
A voi,
frottolieri per necessità,
uomini DAP*
sudatori d’ansia
il cui orgasmo è immancabilmente legato
alle fluttuazioni del costo di una azione
a tutti voi io mi rivolgo:
“Cercate, Gloria o Morte”
Sentitene il sapore
assaporatene il gusto
provatene il valore,
deliziatevi
con il sangue rappreso
sulla pelle sbucciata
delle nocche frantumate
sugli zigomi sporgenti
di voi uomini rampanti.
O Gloria o Morte!
Ascoltatene
la musica sgorgante
dello sfascio dei denti!
Immergetevi
nell’olezzo soffocante
del sudore della lotta!
O Gloria o Morte
Dominatela la vita!
Provate a vincerla e a non subirla.
Ridetegli in faccia
con le vostre luccicanti dentiere,
corretegli incontro.
Gloria vi attende, o Morte da €ro€!
Sappiatelo,
non ci sono limiti preordinati
nella lotta per la vittoria
e se ci fossero,
Mutateli!
Provate!
O Gloria, o Morte.
Siate voi
Il limite ai vostri limiti
Siate voi gli arbitri supremi
Della vostra Gloria
O della vostra Morte
In questa vita.
Provate!
Provate!
Provate!
O Gloria, o Morte.
Io vi aspetterò
Per glorificarvi
E glorificarmi
Nell’eterno
In fede
Faust
XII
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e … mi immergo completamente
nel silenzio …
della meditazione,
delle non-parole,
in quelle mai dette,
in quelle mai pronunciate,
in quelle mai scoperte,
in quelle accettate solo per amore,
in quelle cui credo solo per fede,
perché è solo in quelle
che ritrovo la voce,
la voce trascendente,
la voce innominale,
la voce universale,
la voce di Dio.
XIII
Quella voce che spero ascoltino
gli eroi di ogni tempo
gli eroi di ogni società
gli eroi osannati da alcuni e maledetti da altri
gli eroi che uccidono ogni giorno altri eroi
gli eroi che uccidono il loro tempo vitale
gli eroi di questo mondo e di quell’altro.
gli eroi vinti e sconfitti di ogni tempo
gli eroi silenziosi e muti
coperti ormai solo d’alloro secco …
gli eroi osannati del mio mondo
gli €roi per causa di servizio del mio tempo.
XIV
Sciamannati guerrieri,
fautori di frattaglie abbrustolite
da unguenti medicamentosi al plastico,
che scarrozzano missili in scatole di cartone,
su asini scarniti dalla fame,
in front of
giovani dis-occupati,
lavoratori a termine dell’esercito della pace,
$oldati della di$-occupazione
della deflazione e della rece$$ione,
apostoli di democratiche $ricostruzioni,
scorrazzano mitragliette lucide su mezzi blindati,
tra tanks bruciati e vinti di un passato regime chimico.
chi per un divano
chi per una casa
chi per una macchina nuova,
arresta e spara
a chi,
ubriaco di democrazia,
parla finalmente di
cani invasori e barbari infedeli.
E io-noi alla TV,
scrutiamo preoccupati
la bara di un soldato,
eroe della dis-occupazione
e della $ricostruzion€
lasciare a moglie e figli il divano,
la macchina appena comprata
e la casa da pagare
con la sua morte da
€roe per causa di servizio.
XV
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e … nel silenzio …
della meditazione,
delle non-parole,
in quelle mai dette,
in quelle mai pronunciate,
in quelle mai scoperte,
in quelle accettate solo per amore,
in quelle cui credo solo per fede,
è solo in quelle
che ritrovo la voce,
la voce trascendente,
la voce innominale,
la voce universale,
la voce di Dio,
la voce dell’Amore …
XVI
Ritorno all’uomo che sono
l’uomo che osserva.
L’uomo che è costretto a
riempire d’aria i propri polmoni oggi,
in cui si può anche morire di ozonite.
XVII
Inspiro …
ho fame e sete
sono pronto alla caccia
mentre
… guardo in diretta la miseria …
… ha il sorriso coi denti storti,
… ha la pancia gonfia d’acqua,
… ha le mosche sul viso,
… ha una coperta di cartone
tra i rifiuti speciali d’occidente
e d’oriente
E mi tocca registrare che …
… ha la vita giovane,
la miseria .
… ha la morte giovane …
la miseria.
XVII
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e … nel silenzio …
della meditazione,
delle non-parole,
in quelle mai dette,
in quelle mai pronunciate,
in quelle mai scoperte,
in quelle accettate solo per amore,
in quelle cui credo solo per fede,
è solo in quelle
che ritrovo la voce,
la voce trascendente,
la voce innominale,
la voce universale,
la voce di Dio,
la voce dell’Amore …
che mi riporta all’uomo che sono
e
mi condanna ad esserlo.
XVIII
Inspiro …
… ascolto un adolescente di Ramallah
Racconta che:
“Nell’acre odore
della carne bruciata
respirata a forza
da mia madre,
ho percepito
il mio primo profumo
del mondo di fuori.
Nelle urla disperate
per i fischi delle granate,
ho ascoltato
il mio primo registro di suoni
del mondo di fuori.
A 14 anni ormai
nel mondo di fuori
Solo …
… un pugno di terra
scagliato nel vento
della Grande Spianata
osservo
nel suo lento sgretolarsi e
compattarsi a terra.
Lacrime e sangue
della mia famiglia
a fecondare la valle.
XIX
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e … nel silenzio …
della meditazione,
delle non-parole,
in quelle mai dette,
in quelle mai pronunciate,
in quelle mai scoperte,
in quelle accettate solo per amore,
in quelle cui credo solo per fede,
è solo in quelle
che ritrovo la voce,
la voce trascendente,
la voce innominale,
la voce universale,
la voce di Dio,
la voce dell’amore …
che mi riporta all’Uomo
e
mi condanna ad esserlo.
XX
Inspiro …
… la vita mi richiama
… ritorno al soffio primordiale
che mi costringe alla vita…
ritorno alla mia carne
ritorno al mio verbo
ritorno al mio vocabolario
ritorno all’impegno del linguaggio
ritorno al mio nome
ed alla parola morte
che mi insegue ancora
che afferro con la mente
che mastico, sputo, rigetto
in questo mondo mortale
… altro da me.
Nasce una domanda
sorge una preghiera
XXI
Ma dove siete, Poeti!
Voi, che coi vostri versi
trasformaste il mondo?
Non riesco più a trovarvi!
Uscite dalle vostre torri d’avorio!
Riempite i vicoli, le strade, le piazze, Poeti!
Non è più il tempo d’illuminarvi d’immenso
rimirandovi nello specchio della vostra fonte.
Non è questo forse il tempo del coraggio?
Non è ormai forse il tempo della rabbia?
Non è forse il tempo di combattere
con la vostra poesia?
Non è più il tempo
di stare a guardare,
di stare a leggere,
di stare ad ascoltare!
Questo è il tempo
della Poesia!
Il vostro tempo!
Uscite di casa, Poeti!
Urlatela la vostra poesia,
non sussurratela!
Fate sanguinare le vostre labbra
mentre la cantate!
Offritela come un fiore a tutti,
non solo ai saggi che rimirano se stessi,
e . . . si ascoltano anche mentire..
Perché se non avrete coraggio
prima o poi
sarà la vostra stessa Poesia che
si vendicherà di voi.
XXII
Espiro …
… chiudo gli occhi …
e … nel silenzio …
della meditazione,
delle non-parole,
in quelle mai dette,
in quelle mai pronunciate,
in quelle mai scoperte,
in quelle accettate solo per amore,
in quelle cui credo solo per fede,
è solo in quelle
che ritrovo la voce,
la voce trascendente,
la voce innominale,
la voce universale,
la voce di Dio,
la voce dell’amore …
che mi riporta all’Uomo
e
mi condanna ad esserlo.
CONCLUSIONE
III Sentence to the travel
I The travel that has name: “Human Life”.
Corrono gli scomposti sentieri dell’oggi
incontro ai musici del domani.
Parabole di vita le loro traiettorie.
Ebanisti equatoriali,
navigatori fenici,
principi africani,
uomini delle foreste e
delle pianure del Fiume Giallo,
tutti insieme ridisegnano
le linee di confine dell’Ecumenopoli[8].
Il viaggio si chiama Vita
ed ogni mezzo è buono
per raggiungere l’Isola del tesoro,
o la propria Città del Sole,
a costo di incrociare nel viaggio anche l’inferno.
A piedi nudi
nella sabbia del Gobi,
e/o nella giungla equatoriale,
col cappotto della nonna o del nonno
per valicare colline, passi, montagne piene di neve,
oppure in viaggio nell’orinatoio di un treno,
su un tir di rose del deserto,
in un container arrugginito,
dentro una carretta del mare,
l’importante è la meta
non importa come la si raggiunge
se al posto della lattuga o dei limoni
o se “al posto dei fiori la domenica”[9].
Nel sogno solo un mondo
di pallette e lustrini da raccontare
agli amici rimasti là
dove vita e morte
si contendono quotidianamente i corpi
nel fango dei rifiuti speciali
d’occidente e d’oriente.
Zingari con le radici nel cuore della propria terra,
portano, nel viaggio, aromi di coriandolo nello zaino
e bulbi di manioca nell’anima,
ma comunque pronti a lanciare
la propria sfida alla vita.
II Sentence to the challenge
Ti Vincerò,
Vita …
con i miei occhiali sporchi.
Ti vincerò,
Vita …
con i miei panni sdruciti.
Ti vincerò,
Vita …
con le mie scarpe sfondate.
Sì.
Io lo farò …
contro ogni pronostico.
…
Ti acciufferò per i capelli!
Ti strapperò i calzoni!…
Ti morderò i coglioni!
Frantumerò
la forza del destino che
mi hai assegnato!
E giocherò con te ….
E vincerò su te. …
Perché io,
non conosco sconfitte …
Io riesco ancora a sognare!
II The Sentence to the exile
Di ogni pietra
calpestata a nudo
conosco il nome al
momento della morte
uno sparo …
un tonfo …
un pianto …
e una vescica aperta …
avverto
lungo il mio cammino.
Uno sparo ….
girarmi non posso!
Un tonfo …
proseguo!
Un pianto …
continuo!
…
Una vescica aperta …
cammino!
…
Una nuova pietra
io calpesto a nudo
lungo il mio cammino
come il mio vicino
uno sparo …
un tonfo …
un pianto …
e una vescica aperta
…
impariamo
un nome nuovo
dalla morte!
III
Scelta possibile
Scelta obbligata
Scelta di Vita
Condanna.
al linguaggio,
alle parole
al Verbo dell’Uomo.
Condanna alla ricerca.
Condanna alla Poesia
IV The Sentence to the Poem.
Ho navigato attraverso
sconosciuti oceani,
amici d’infanzia
Sinbad e Crusoe.
Nemo
mi ha insegnato
che ventimila leghe sotto o
sopra il mare,
non fanno poi tanta differenza
quando la meta è
l’Isola del Tesoro
o la Città del Sole.
A lungo abbiam parlato
dei Bonzi e di Jan Palach loro amico,
e dei molti desaparecidos che
per giocare fino in fondo la partita
si sono opposti ai tiranni di ogni mondo
con la vita.
Ma in questo viaggio,
che non ha confini,
molti altri mondi
intendo visitare,
molti altri saggi
intendo incontrare.
Vestirò di volta in volta
i panni di Jonathan gabbiano
o quelli di Fracchia nostrano,
sarò a volte Don Quijote guerriero
e tal altra Sancho Panza suo scudiero.
Ed è un viaggio al quale
non posso rinunciare.
Un viaggio
che è la mia condanna.
Condanna alla ricerca
della Voce
di quella voce che
non ha tempo né confini.
Viaggio nel tempo del Verbo
che ha solo Voce …
… Voce di Poesia …
… Voce Trascendente …
… Voce che feconda …
… Voce d’Amore …
… Voce di DIO …
che mi riporta all’uomo …
… e …
… mi condanna ad esserlo.
APPENDICE
IL LINGUAGGIO POETICO
Divina condanna, umana ribellione, poetica dannazione?
- Delimitazione e precisazione del campo e dell’oggetto d’indagine
Questo piccolo libro di poesia si propone di analizzare come mai l’uomo, unico tra gli esseri viventi, sia dotato della capacità di “nominare” la propria esperienza percettiva, di “punteggiarla”, raccontarla, ovvero “comunicarla” agli altri esseri viventi attraverso un’attività di verbalizzazione-relazione tra i diversi nomi. Inoltre si propone di esaminare come mai l’uomo, pur avendo un’identica base geneticamente strutturata della composizione verbale, ovvero una “Grammatica Universale del Linguaggio”, nonché una struttura genetica che permette, non solo di strutturare le parole, ma anche di fissarle nella memoria attraverso un’attività di crescita dei dendriti[10] neurali, abbia poi differenti “lemmi” per esprimere la propria esperienza, creando in questo modo enormi difficoltà alla comunicazione relazionale della propria esperienza percettiva, che risulta per ciò stesso, estremamente personalizzata ed inintelligibile per chi non conosca e non si serva degli stessi lemmi. È noto, infatti, che l’uso delle parole e delle regole grammaticali portano alla “memoria semantica” (i concetti). Differenti lemmi e regole grammaticali, quindi differenti concetti, per cui maggiore difficoltà di comprensione del Sé in relazione(rapport) agli altri differenti da Sé, ossia difficoltà di comunicazione relazione della propria esperienza fissata nella propria mappa di mondo, che risulta perciò differente per ogni uomo. Difficoltà di comunicazione che si traduce in diffidenza e, qualche volta, necessariamente in sopraffazione dell’un Verbo sull’altro, ossia, di prepotenza dell’uomo sull’uomo. Infine, questo breve lavoro, si propone di dimostrare come l’unico mezzo per evitare tali incomprensioni, sia quella di ritornare alla parola originaria, all’unica parola possibile e comprensibile a tutti, parola che è Poesia. Questo lavoro, che è anche un viaggio sulla condizione umana, vi condurrà alla Poesia. Raimon Panikkar, eminente studioso di linguistica, ha scritto ne “Lo spirito della Parola” che: “L’avere dimenticato la parola, porta alla guerra” (pag.51). Per evitare, quindi, la guerra nella comprensione delle parole, occorre ricercarla, ossia recuperare quella parola originaria dimenticata che altro non è che Poesia. Già Aristotele scrisse che la ricerca della parola originaria posta dall’Uomo, attraverso la produzione (poiesis) verbale, idea (eidos) o modello dell'oggetto da produrre, trova la sua perfezione nell'abilità (techné) operativa posseduta. Intendo dimostrare poi, come tale abilità non sia altro che la condanna dell’Uomo alla nominazione del creato per affermare il Verbo ed anche come questa sia altro che la dannazione del Poeta alla continua ricerca della parola che conduce a Lui. Nasce il linguaggio, è posta la Poesia. La tesi di questo saggio è quindi l’affermazione che la Poesia conduce alla conoscenza del Verbo che si scopre, si disvela giorno per giorno. L’Uomo, solo dopo la nominazione di tutto il creato, avrà realizzato il compito affidatogli dal Verbo e avrà avuto modo di conoscerlo completamente, ma fino ad allora egli è condannato alla ricerca scientifica delle differenze per dare un nome ad ogni cosa, e,per tutto il tempo della sua ricerca, potrà solo avere fede che la sua sete di conoscenza strutturata dal Verbo, di dare nome (vita) al creato, si realizzi totalmente. Riassumendo, l’uomo deve dare corso alla divina condanna (nominazione del creato) e seguire la via tutta umana della ricerca della conoscenza, per poter svelare il Verbo attraverso l’apposizione originale di un nome, senza smarrirsi (umana ribellione), dimenticando la parola originaria e ponendo sé stesso come creatore di un linguaggio diverso per ogni cosa, che ha al centro non il Verbo ma la parzialità del Sé. Al poeta spetta il compito della ricerca, nella confusione attuale del linguaggio, della parola originaria che porta al Verbo attraverso la poesia(poetica dannazione).
- Divina condanna
Dio è il Verbo, e l’Uomo sin dalla sua Genesi ha il compito di affermarlo. Egli è, infatti, l’unico, tra gli esseri viventi, ad essere creato strutturalmente per questo. L’uomo, Adamo secondo la tradizione biblica, riceve direttamente dal Dio-Verbo nelle narici, il Suo soffio caldo, vitale, che Lo struttura e Gli dà vita. Di soffio vitale parlano, però, anche molte altre culture antiche e native, attribuendogli svariati nomi, come il Ba negli Egizi, l'Ami negli sciamani mongoli; dal naso di Vishnù esce il soffio vitale il cui controllo porta alla illuminazione. Il soffio vitale quindi, crea, struttura l’Uomo originario della capacità della comprensione, della capacità di avere la consapevolezza che è stato plasmato per affermare il Verbo. Gli viene comandato di imporre un nome. La nominazione del creato, quindi, è assegnata, quale compito esclusivo, all’Uomo. Il Creatore di tutte le cose non ha bisogno di nominarle, darle un nome, giacché “DIO E’”. L’Uomo invece, come tutto il creato, ha un momento in cui non è, ha una nascita, ha quindi un inizio prima del quale non è, e dal momento in cui viene ad essere, ESISTE già UN PASSATO, esistono già delle cose che hanno un passato; una vita anteriore al momento in cui l’Uomo viene ad essere, ed è un passato che deve necessariamente conoscere per essere nominato così come voluto dal Verbo. L’uomo ha, acquisisce, nel momento della sua creazione, un presente ed un futuro che lo attendono per dare nome, affermare il Verbo. Questo attribuire nome a qualcosa, che è prima dell’essere, significa necessariamente conoscere in profondità la stessa, per differenziarla ed attribuirgli un nome che le sia proprio, e permetta di richiamarla alla memoria quando non presente, costituendo in sé una memoria del fatto e della cosa in sé. Ecco la divina condanna dell’Uomo, nominare il creato attraverso l’apposizione di un nome per avere memoria di esso. Ossia, L’uomo-Adamo è incaricato dal Verbo a nominalizzare-Verbalizzare il creato e dargli vita nel tempo dell’Uomo, per avere memoria di Colui che è. Ma l’Uomo-Adamo, ripeto, può fare questo solo perché è dotato fisicamente di una struttura diversa dalle altre creature, ricevuta attraverso il soffio divino, che gli permette di catalogare e dare un senso alla nominalizzazione di ciò che lui vede come estensione e proiezione dell’immagine del suo Verbo-Creatore. Il linguaggio, in quanto forma di nominalizzazione (creazione di un nome che prima non esiste) è, quindi, proprio dell’Uomo che attraverso l’atto della Poiesis (creazione linguistica) nomina le cose in quanto tali e le fa anche esistere. Una cosa, infatti, non esiste nel tempo dell’uomo fino a quando non ha nome umanamente trasmissibile, poiché una cosa senza nome non può essere comunicata, ovvero ricordata e tramandata. La nominalizzazione, quindi, genera la Vita ed il Tempo della cosa in sé. Dal momento dell’apposizione del nome, quell’oggetto è ricordato e tramandato e, seppur non presente davanti agli occhi, basta la parola per evocarlo, per renderlo presente, ossia vivo nella mente. Ma questo nome è anche un limite a cui l’Uomo è condannato dal Verbo, poiché questo nome specifica un percorso che fa rivivere solo e soltanto quella rappresentazione di esso. Questo specificare lo obbliga a pensare, a quella cosa, e solo a quella. Nominando quel nome egli è costretto al pensiero di quello, e, momentaneamente dimenticare il resto, il tutto che è fuori da quel nome. L’uomo è condannato in questo modo, divinamente, alla parzialità ed alla continua ricerca di quella parte non ancora nominata del suo mondo. Divina condanna alla ricerca ed alla nominazione parziale del creato. Dare vita al parziale conosciuto attraverso l’apposizione del nome. Divina condanna alla nominazione della parzialità dell’essere.
- Umana ribellione
L’Essere, nel corso del tempo, ha subito la condanna anche alla moltiplicazione di sé. L’Umanità è divenuta il molteplice d’Essere. L’umanità fatta del molteplice di sé si è parcellizzata e ogni parte è un altro Essere che è uno e molteplice allo stesso tempo. Ogni Uno affronta un’esperienza parziale del mondo in cui vive e, nella sfida quotidiana con la vita, ha un proprio lessico, e “nomina” il proprio mondo e crea un proprio vocabolario. L’Umanità si è moltiplicata, si è parcellizzata in tanti “Uno” che hanno reso ancora più parziale la conoscenza del creato, nominando il mondo a propria immagine e somiglianza. Il proprio verbo è divenuto il VERBO. La propria Parola è diventato un mezzo di dominio del mondo in cui vive ogni Uno. Prendo ad esempio la religione, ma potrei anche parlare del mondo laico che nulla cambierebbe. La nominazione del mondo, come mezzo di potere, è descritta molto bene nel libro sacro del mondo Cristiano, che è la Bibbia. L’uomo-Adamo si è sparso con la sua discendenza nella totalità del creato. Discendenza che ha dimenticato il Verbo originario, e si è arrogato il diritto di essere lui il Verbo. “Ogni parola è un’incarnazione. Se non c’è carne non c’è parola, se non c’è terra concreta, uno spazio limitato, un tempo determinato, non c’è parola”. È la parola, che ognuno dei discendenti dell’Uomo reclama, e reclama il diritto di creare un proprio Verbo, una propria parola, con cui dominare gli altri. Ossia, tenta di affermare il sé attraverso l’imposizione della propria parola. Ovvero tenta di affermare la propria parzialità come totalità, e per fare questo non si limita ad una guerra di parole tra dialoganti, ma il dialogo avviene spesso tra cristallizzazioni presuntuose di fondamentalismi che affermano solo sé stessi attraverso l’imposizione del proprio Verbo ad ogni Uno degli altri; e la propria parzialità si trasforma in desiderio di possesso del tutto. L’interesse all’affermazione del sé si sposta sull’oggetto, sul possesso delle cose. È la ribellione dell’uomo che non accetta la sua parzialità nel tempo dell’uomo e nel tempo delle cose; e pensa di poter raggiungere l’eterno già nel mondo degli uomini, possedendo tutto il possibile ed informando di sé il creato umano. I potenti della terra di ogni tempo, appena hanno potuto, hanno sfidato il tempo degli uomini con monumenti ed opere ciclopiche che parlavano di sé. Vanità della loro umana presunzione all’eternità. Umana ribellione alla parzialità del suo essere non eterno.
- Poetica dannazione
Uomo tra gli uomini, immerso nel tempo del proprio verbo ma partecipe anche del Tempo infinito del Verbo, il poeta è colui che, attraverso la continua ricerca del senso profondo del nome, tenta di ritornare con il suo verso alla parola originaria, che non è parola ma amore della parola che conduce all’Essere. È la ricerca di questa parola, di quest’amore per la parola, la poetica dannazione di colui che vuol fare della Poesia la sua vita. È la ricerca del Poeta una dannazione ed una missione senza fine, poiché l’uomo mai arriverà a compiere totalmente il volere del Verbo alla nominazione del tutto, e giammai il Poeta potrà svelare il tutto, ma l’amore, poetica dannazione di cui è dotato, lo sosterrà a ricercare con fede l’amore per la Poesia del creato, ossia: “L’amor che move il Sole e l’altre stelle” che è la sintesi perfetta di questo brevissimo saggio. L’uomo non può fare a meno di utilizzare le parole per esprimersi, per farsi comprendere, per vivere con gli altri uomini. L’uomo, che ha subito la divina condanna alla comunicazione verbale del quotidiano, la divina condanna alla parzialità del suo linguaggio e della sua vita, può solo scegliere (libero arbitrio) se affermare se stesso con la propria umana ribellione a questa parzialità e dannarsi l’anima (umana ribellione) per la propria gloria a danno dei suoi simili, oppure diventare poeta e tr-ascendere, attraverso la fede, con la parzialità della Sua condanna all’amore per il prossimo e per tutto il creato, scegliere di essere Poeta che è però: condanna alla ricerca di un linguaggio che tr-ascenda l’umana ribellione alla nominazione parziale del proprio mondo; è cantarlo tale amore; è continua ricerca della perfezione della parola “Amore”. Amore per il proprio simile in cui si concreta il Verbo. Amore che è dannazione e felicità. Linguaggio d’amore che è linguaggio di poesia, in ogni lingua. Linguaggio poetico che è Amore per la vita. Poetica dannazione, insomma, alla ricerca di quel SILENZIO CONSAPEVOLE DELL’amor che move il Sole e l’altre stelle.
Francesco Carrozzo
Bibliografia utile
Aristotele, La Poetica, Biblioteca Universale Rizzoli, Rizzoli Editore, Milano, luglio 1956;
Bandler Richard, Grinder John, La ristrutturazione, La programmazione nerurolinguistica e la trasformazione del significato, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini editore, Roma, 1983;
Barthes Roland, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino, 1968;
Bologna Corrado, metafisica e antropologia della voce, Il Mulino, Bologna, 1992, prefazione di Paul Zumthor
Castaneda Carlos, Il Potere del Silenzio, Biblioteca Universale Rizzoli, luglio 1993;
Chomsky, Noam A., Saggi linguistici, a cura di A. De Palma, Boringhieri, Torino;
Eco Umberto, Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino, 1997;
Erickson Milton H., La mia voce ti accompagnerà, I racconti didattici di Milton H. Erickson a cura di Sidney Rosen, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini editore, Roma, 1983;
Ginzburg Natalia, Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963
Keeney Bradford, L’estetica del cambiamento, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini editore, Roma, 1985;
Panikkar Raimon, Lo spirito della parola, Bollati Boringhieri editore, ottobre 2007;
Plotino, Enneadi, testo greco a fronte e traduzione a cura di G. Faggin, Milano, Bompiani, 1992.
Saussure Ferdinand De, Corso di linguistica generale, Laterza Editore, Bari, 1972;
Watzlawick Paul, Beavin Janet Helmick, Jackson Don D., Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma, 1971.
Note
[1] Qui ci si riferisce alle tecniche di respirazione per il raggiungimento della Meditazione Trascendentale e al metodo di
preghiera dell’esichia.
[2] Il riferimento è alle filosofie di Karl Gustav Jung
[3] Il riferimento è al pensiero filosofico espresso da Karl Popper, in Conjectures and Refutazions, London, Routledge and Kegan Paul, 1969.
[4] Il riferimento è alla Danza mistica, chiamato appunto Ghost Dance, proposta da Wovoka, Messia dei Paiate, il quale diceva che tutti gli indiani dovevano ballare in ogni luogo, non dovevano mai smettere di ballare poiché presto sarebbe arrivato il Grande Spirito, e tutto sarebbe ritornato come prima, selvaggina, bisonti in abbondanza e soprattutto una grande inondazione che avrebbe portato via l’uomo bianco e ridato la libertà a tutti gli indiani che danzavano
[5] Il riferimento è ai libri di Carlos Castaneda.
[6] Il riferimento è sia al metodo dell’Esicasmo che al metodo della Meditazione Trascendentale. Secondo Isacco di Ninive, uno dei padri dell’esicasmo, il silenzio profondo introduce l’anima nel mondo spirituale, essendo il silenzio “mistero del mondo futuro e la lingua organo del mondo presente”. E’ anche il silenzio meditativo che porta alla trance ed avvicina al divino ed all’atto supremo della Poiesis, della Creazione.
[7] Prodotto Interno Lordo
* Disturbi da attacco di panico.
[8] Si riferisce al pensiero di Doxiadis
[9] così si esprime Gian Marco Chiavari, poeta genovese vissuto a Parma, amico di Salvator Dalì et altri, parla del suo viaggio in una sua poesia inedita che conservo gelosamente.
[10] Il ricordare è un processo che risulta dalla trasformazione di una struttura profonda tra i microprocessori dendritici.
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